JELSI – “A Difesa delle Differenze”, convegno in occasione della Giornata mondiale contro il razzismo

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JELSI – Si è tenuto nel pomeriggio di sabato 21 marzo nella sala Convegni “G. Santella” l’incontro “A difesa delle differenze”, promosso dall’Amministrazione comunale di Jelsi che, in collaborazione con la Pro Loco, l’Istituto Comprensivo, la Regione Molise, il Ministero dell’Interno, la Cooperativa Sociale “La Sfinge”, ha raccolto l’invito delle Nazioni Unite a celebrare la Giornata Mondiale Contro il Razzismo.

Jelsi, uno dei pochi comuni molisani a celebrare la giornata indetta dal’ONU, ha rimarcato ancora una volta il suo essere luogo di accoglienza e di integrazione. Sono state ascoltate esperienze e testimonianze di chi ha alle spalle un passato di anni di emigrazione ma anche di chi per amore, per lavoro o altro ormai da tempo vive a Jelsi facendo il parallelo con le storie di Ejlaz, Akram, Shahzad, Alsaedi, Israr, Abdi, Bakary, Abdi e tanti che come loro sono giunti dall’Afghanistan, dal Bangladesh, dal Kashmir, dal Iraq, dal Pakistan, dalla Somalia, dal Gambia e dal Senegal in cerca di un futuro di pace lontani dai luoghi natii molto spesso martorizzati da violenza, guerra e fame. Ognuno di loro ha voluto parlare del proprio paese d’origine usando la lingua del paese di accoglienza ed è stata un’emozione sentire i racconti di Alsaedi, giornalista iracheno fuggito da una guerra che gli ha rapito il fratello minore e ucciso il maggiore, così come è stato emozionante la testimonianza di Jaspreet che, arrivata piccina in Italia dall’India ha confessato di sentire la mancanza dei nonni che non vede da dieci anni. L’Istituto comprensivo di Jelsi ha realizzato un progetto sulla vecchia emigrazione che ha colpito la comunità dalla fine dell’ottocento e la nuova immigrazione che vede oggi lo stesso comune ospitare sia un progetto SPRAR che ragazzi in accoglienza temporanea.

Dopo i saluti del sindaco Salvatore D’Amico, del parroco Don Peppino Cardegna, della Dott.ssa Mariaconcetta Mignogna, Responsabile dell’Accoglienza a Jelsi, della Dott.ssa Agnese Scala, Responsabile  dell’Ufficio dei Diritti Civili, Cittadinanza, Condizione Giuridica dello Straniero, Immigrazione e Diritto d’Asilo della Prefettura di Campobasso, dell’Avvocato Michele Cellulare, l’Assessore Regionale alle Politiche Sociali Michele Petraroia, originario di Jelsi, si è soffermato sull’importanza dell’accoglienza e sul valore di aver organizzato un evento così significativo in un piccolo comune con un grande cuore e una grande cultura della socializzazione com’è Jelsi ricordando le figure di chi, in passato come Padre Giuseppe Tedeschi emigrato giovanissimo in Argentina ha dato la sua vita per i poverissimi immigrati della favela di Villa Itatì, e di Eulalia D’Amico, giovane volontaria della nostra associazione che per la terza volta da oltre un anno presta la sua opera negli orfanotrofi di Touboro e Ngaoundéré in Camerun.

E proprio con un messaggio di Eulalia e con la proiezione di un piccolo video dei bimbi camerunensi si è voluto concludere l’incontro lasciando ai tanti cittadini italiani e stranieri che affollavano la sala un messaggio di speranza per il futuro.

Per l’Associazione “Padre Giuseppe Tedeschi”, che con un proprio rappresentante ha coordinato i lavori della manifestazione contro il razzismo, è stato bello rilanciare il messaggio dell’ONU in una piccola comunità ascoltando le testimonianze vive di tanti protagonisti dell’emigrazione di ieri e di oggi accomunati dalla stessa idea di dignità, uguaglianza e fraternità che unisce il genere umano al di là del colore della pelle, del sesso, della religione e della razza.

Il Presidente                                               Il Coordinatore

Maria Perrotta                                            Chiara D’Amico

 

Messaggio di Eulalia:

Ciao a tutti cari amici e sostenitori come state tutti? Qui nella regione dell’Adamaua, nel centro nord del Camerun, tutto va bene. In attesa della stagione delle piogge ci godiamo il solleone di questi giorni.

Bella e soprattutto sempre più attuale la vostra iniziativa per aprire un dibattito sull’integrazione razziale, in questi tempi in cui la fragilità e instabilità di tante Nazioni obbliga milioni di cittadini a spostarsi per assicurarsi un posto di lavoro e cercare una propria dignità di vita.

Se posso inserirmi brevemente nel vostro dibattito quello che mi viene da dire è che di sicuro sono stati fatti tanti passi in avanti nel corso dei decenni dopo le prime colonizzazioni e deportazioni in merito all’integrazione e se osserviamo attentamente gli ultimi anni possiamo facilmente notare che l’Italia è uno dei Paesi che più si è distinto nell’accoglienza allo straniero, ai cittadini dell’Europa dell’Est e dell’Africa in generale. L’ottima accoglienza degli Italiani ritengo sia un forte riflesso di quanto ricevuto in tempi non troppo lontani quando migliaia di Italiani hanno fatto le loro valigie per cercare fortuna nelle Americhe in forte via di sviluppo.

Per quanto mi riguarda personalmente posso dirvi che in generale non ho avuto grandi difficoltà di inserimento tra i Camerunesi. Fin dal primo giorno del mio arrivo in terra africana, l’8 Novembre 2008, ho sempre trovato massima disponibilità e generosa accoglienza da parte di tutti. Oggi alla mia 3à esperienza posso tentare di fare un’analisi più precisa, oggi che vivo sempre intensamente il centro di accoglienza per bambini e ragazze in difficoltà “Santi Angeli Custodi” ma che cerco di osservare anche il quartiere e la città di Ngaoundéré.

Le “Nasara”, cioè le persone bianche, sono viste in tanti modi differenti.

Nasara è colui che non ha problemi di soldi, gli si può chiedere un prezzo doppio o triplo al mercato perché tanto lui non farà problemi e pagherà. E si stupiscono tanto quando capiscono di trovarsi di fronte una sorta di Nasara Bamilechè (i Bamilechè sono i commercianti per antonomasia, quelli cioè che più di altri sanno gestire gli affari).

Le Nasara sono persone che lavorano meno degli altri e si fa fatica a credere quando ci si accorge del contrario. Non ho mai avuto problemi a fare un qualsiasi tipo di lavoro.

Il Nasara ama la vita facile e comoda perciò vederlo camminare per lunghi tratti a piedi fa strano.

Ci sono poi tanti casi di persone di colore che fanno una sorta di riverenza quando incontrano un bianco, un saluto che non dimostra solo rispetto dell’altro ma appunto riverenza, un’accoglienza che ha un occhio tanto particolare al bianco e che cozza decisamente con quanto si offre alla persona di colore che ci accompagna.

Noto come sia rimasta in tanti, e non solo nelle persone più anziane, una eccessiva riverenza verso il bianco dovuta ai decenni di colonizzazione da parte prima dei tedeschi poi di francesi e inglesi che sottomettevano ad eccessivo servilismo la popolazione. (Scusate la ripetizione della parola riverenza ma non mi viene in mente un sinonimo tale che possa far comprendere bene il pensiero che voglio condividere con voi).

Altri invece distinguono tra nasara e nasara: 1) il Francese, non troppo amato; 2) l’Italiano, il lavoratore; 3) l’Americano, potenziale finanziatore di progetti; 4) il Cinese, costruttore economico di strade e pozzi.

Non ho mai amato il servilismo né la riverenza, mi piacerebbe arrivare in un posto in cui conti solo l’impegno, la buona volontà, lo spirito di sacrificio e la voglia di donarsi; bianco/nero, musulmano/cristiano, fulbe/tupurì/mbum, uomo/donna: la differenza tra colore della pelle, religione, razza, sesso dovrebbe emergere come un ponte per collegare civiltà sì diverse e con proprie identità ma che hanno voglia di incontrarsi e viaggiare insieme, scoprire la magnificenza della diversità e farne un volano per costruire rapporti forti per un futuro apparentemente fragile ma che con ottime fondamenta può elevarsi ad ogni livello.

Concludo facendovi partecipi di un ottimo esempio di integrazione che osservo ogni giorno in questa parte dell’Africa. Il Camerun è un Paese diviso in 3 grandi religioni: cattolicesimo, protestantesimo e islam. Le feste religiose sono ben ripartite e ognuno festeggia alla sua maniera. Il musulmano rispetta la preghiera del cattolico e viceversa, ognuno prega e invoca Dio alla sua maniera. L’uomo protestante abita vicino al cattolico e questo ha come vicino una famiglia musulmana, i bambini giocano tutti insieme e ognuno rispetta la vita dell’altro. Ci sono tante scuole cattoliche quante musulmane e protestanti e in quelle pubbliche tutti si ritrovano in un’unica classe a studiare le stesse cose.

L’integrazione è possibile, deve essere possibile, bisogna avere solo tanta tanta volontà e pazienza verso l’altro, aver voglia di scoprire le diversità culturali, religiose, tradizioni e costumi e farle divenire preziosi strumenti per costruire qualcosa di forte e duraturo.

Grazie a tutti per avermi reso partecipe di questa iniziativa e per l’attenzione che sempre mi rivolgete.

Un caro saluto a tutti.

Buon lavoro e Buona Pasqua a tutti.

Eulalia

 

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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