VENAFRO – Era una luminosa mattina di marzo, il sole splendeva in un cielo azzurro (sembra l’inizio di un tema di un alunno di mezzo secolo fa, e un po’ forse lo è, ma non è purtroppo un tema di fantasia) e una bimba seduta sulla soglia di un balcone, con le gambette penzoloni tra la ringhiera, era felice.
Era felice malgrado la guerra in atto, era felice malgrado piccole piaghette alle gambe le impedissero di camminare, era felice malgrado fosse sola in quella serena giornata di marzo.
All’improvviso avvertì un lontano ronzio dietro le montagne, subito lo sentì più vicino, guardò in alto, ma non si spaventò perché riconobbe aerei americani, simili a leggeri uccelli d’argento (ormai li distingueva pure lei da quelli tedeschi , minacciosi, scuri, grandi, sinistramente rumorosi che volavano sempre più in basso). Quel ronzio all’inizio turbò solo e per un po’ lo splendore del sole e silenzio dell’azzurro, la bimba canticchiò una sciocca canzone in voga: “Apparecchi americani, sgancian bombe e se ne vanno!”. Non aveva finito che grappoli di bombe, simili a nere caramelle, si staccarono da quei leggeri e argentei uccelli e presero a scendere inesorabili verso terra, verso lei: poi ci fu il caos, l’apocalisse su in piazza Mercato e dietro la chiesa del “ Purgatorio”. Boati, montagne di fuochi simili a vulcani, scoppi possenti e dopo… la pausa di una eternità o il battito di un’ala, urla e lamenti strazianti.
Gli aerei indifferenti volarono via e la bimba dal centro di quell’inferno si trovò miracolosamente illesa fra tanta altra gente, in un frantoio buio e a piano terra nei pressi della casa dove viveva in quel periodo (nelle stesse case allora ci si ritrovava a convivere con altre persone, spesso senza vincoli di parentela e spesso nemmeno di amicizia, ma tutto questo, con la massima naturalezza. Eventi terribili facevano sorvolare su tali dettagli!). Chi l’aveva trascinata o abbracciata per portarla in quella specie di rifugio antiaereo? La mamma, in quella splendida mattina, era andata negli orti a racimolare qualcosa da mangiare, lasciando la bimba affidata a tutti e a nessuno, il papà era nel suo modesto laboratorio di artigiano, a spaccare legna per gli alleati.
Un anonimo eroe o eroina trasse la bimba in salvo con la naturalezza di un buon cuore e nemmeno dopo si rivelò, forse per pudore o per evitare ringraziamenti o più probabilmente distratto da qualche evento funesto per la sua famiglia. Alla mamma, quando tornò, le bastò riabbracciare la sua bimba e metterle qualcosa sotto i denti, senza indagare: tanto lei sicuramente avrebbe fatto la stessa cosa! Il papà, quando tornò, tra il fumo delle macerie e la lunga fila delle barelle di morti e feriti, aveva il viso bianco come il latte e il passo vacillante di un vecchio: non sapeva ancora la sorte della moglie e della figlioletta al centro dell’inferno in quella splendida mattinata del quindici marzo quando gli americani scambiarono Venafro per Montecassino, roccaforte dei Tedeschi e la bombardarono con l’indifferenza della routine.
La bimba aveva solo cinque anni, ma la visione è nitida e agghiacciante anche ora che sta scrivendo e di anni ne sono passati veramente tanti!
Maestra Rosaria Alterio
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